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Abstract – Convegno internazionale Roma crocevia delle arti tra Seicento e Novecento


Feste e celebrazioni a Piazza Navona tra Seicento e Settecento:  nuove fonti documentarie.

Delia Amiri – Giuseppe Bozzo – Emanuele Demartis – Velia Laghi – Gloria Marchetti – Marianna Nicastro 

(Gruppo di ricerca DISCAM del Conservatorio di Musica “Santa Cecilia”, Roma)

La Chiesa Nazionale Spagnola di Roma, presente con la chiesa di San Giacomo degli Spagnoli, è stata promotrice, soprattutto tra Seicento e Settecento, di numerose celebrazioni liturgiche e paraliturgiche, come le feste organizzate in piazza Navona nell’ambito delle quali la musica ebbe un ruolo di rilievo. Il presente contributo si incentra sulle attività musicali organizzate dalla Nazione spagnola in piazza Navona. La musica veniva utilizzata all’interno di spettacoli di grandi dimensioni; il massiccio impiego di macchine, costruzioni architettoniche, sculture, luci, colori, fuochi, creava un tutt’uno con la musica, che occupava a vari livelli tutto lo spazio di piazza Navona, che diventava così un vero teatro all’aperto. Si celebrava, in queste occasioni, non solo l’incontro tra diversi artisti, ma anche tra diverse arti, come la musica, la scultura e la pittura. Ma in queste feste, la musica, oltre che come ornamento importante per la liturgia ed elemento imprescindibile dell’evento festivo, era impiegata anche, e soprattutto, per magnificare il prestigio della Chiesa Nazionale Spagnola a Roma ed aumentare il suo peso politico.

Gruppo di ricerca degli studenti del corso in Discipline Storiche, Critiche e Analitiche della Musica del Conservatorio “Santa Cecilia” coordinato dai professori Antonio Caroccia e Teresa Chirico.


Tra fasto e lusso: la committenza dei Barberini nella prima metà del XVII secolo

Isabella Aurora – Chiara Cambrai

(Biblioteca Apostolica Vaticana)

Obiettivo dell’intervento è delineare un focus sui rapporti tra mecenati, musicisti e artisti nella Roma della prima metà del XVII secolo attraverso le carte dell’Archivio nobiliare della famiglia Barberini. L’ampia documentazione permette di indagare la produzione artistica di quell’epoca ricostruendo la politica culturale barberiniana; la committenza Barberini, invero, raggiunse molteplici aspetti della fioritura artistica e architettonica, letteraria e musicale del Seicento. Il mecenatismo culturale, voluto e promosso da Urbano VIII e interpretato dai migliori artisti del tempo, divenne uno strumento politico del suo regno ventennale.

Le fonti di carattere amministrativo, economico, personale, conservate nell’archivio nobiliare rendono possibile riflettere sulla capacità che il pontefice mostrò nel rilanciare l’immagine di una Roma trionfante, capitale della cristianità, incontrastato centro della cultura classica e della creazione artistica, avvalendosi di un fecondo mecenatismo. Difatti, ben circostanziati messaggi della propaganda barberiniana, non di rado, furono comunicati mediante grandi opere artistiche o i fasti delle celebrazioni pubbliche. Pittori, scultori, musicisti e artisti a servizio dei Barberini concorsero indubbiamente a formare lo stile della Roma barocca, reso paragonabile, in termini di magnificenza, a quello dei regni dei papi del Rinascimento.

Isabella Aurora

ha conseguito il dottorato in Fonti scritte dell’Antichità e del Medioevo. Ha lavorato nel Consiglio Nazionale delle Ricerche e per conto del Pontificio Comitato di Scienze Storiche. Dirige la Sezione Archivi nel Dipartimento Manoscritti della Biblioteca Apostolica Vaticana. Ha pubblicato un libro all’interno del progetto Index Actorum Romanorum Pontificum ab Innocentio III ad Martinum V e diversi studi sulle istituzioni monastiche e sulla documentazione pontificia.

Chiara Cambrai

ha conseguito la laurea magistrale in Archivistica e Biblioteconomia presso l’Università degli Studi di Firenze; si è formata presso la Scuola Vaticana di Archivistica. Si è addottorata in Scienze del libro e del documento presso l’Università La Sapienza di Roma. Ha collaborato con la Baker Library, istituto di conservazione dell’HBS (Boston, MA) per lo studio e il recupero virtuale di materiale documentario collegato all’Archivio Barberini. È Vice Archivista presso la Biblioteca Vaticana. 


L’immagine della romana virtus nel pasticcio Catone di Georg Friedrich Händel (Londra, 1732)

Tarcisio Balbo

(Conservatorio di Musica «Orazio Vecchi – Antonio Tonelli», Modena)

È noto come Händel utilizzi libretti italiani preesistenti per i propri drammi per musica e per i pasticci: su di essi il compositore interviene seguendo prassi consolidate tra cui l’inserimento di una nuova aria alla fine del terzo atto, a ridosso dell’ensemble conclusivo, o l’alterazione dell’argomento originale. Tali operazioni modificano implicitamente il senso dei drammi, giacché l’aggiunta di un’aria fornisce nuove informazioni sulla storia rappresentata e modifica il ventaglio degli affetti espressi da un personaggio, così come l’alterazione dell’argomento orienta l’interpretazione della vicenda da parte degli spettatori.

La relazione amplia un intervento presentato al convegno Purcell, Handel & Literature (Londra, 2009) sul pasticcio metastasiano Catone, che Händel mette in scena nel 1732 basandosi sull’intonazione di Leonardo Leo (Venezia, 1729). Alla fine della partitura Händel inserisce una nuova aria per Marzia (figlia di Catone, amante di Cesare), in cui il personaggio esprime la propria sete di vendetta contro Cesare, ideale responsabile della morte di Catone. L’inserto, assieme alla riscrittura dell’argomento nel libretto, sposta la morale del dramma dall’equo giudizio del Metastasio, che nel testo originale loda sia la generosità di Cesare sia la virtù di Catone, all’unilaterale esaltazione di quest’ultimo. Tali modifiche si legano forse al successo teatrale, letterario e politico della tragedia Cato di Joseph Addison (1714), ben nota al pubblico londinese e assai rappresentata all’epoca del Catone händeliano.

Tarcisio Balbo

diplomato in pianoforte, è laureato cum laude in Discipline delle Arti della Musica e dello Spettacolo all’Università di Bologna, dove si è addottorato in Musicologia e Beni musicali. Dal 2002 insegna Poesia per musica e Drammaturgia musicale al Conservatorio di Modena. Dedica la propria attività scientifica al teatro d’opera settecentesco: ha pubblicato in riviste e miscellanee, e ha curato per l’editore Ut Orpheus le edizioni critiche del Demofoonte (1770) di Jommelli e della Missa defunctorum (1799) di Paisiello.


Pentecost at Santo Spirito in Sassia  in the Seventeenth century: a multi-sensory experience

Naomi J. Barker

(The Open University, UK)

The Ospedale di Santo Spirito in Sassia had a long tradition of celebrating Pentecost, its patronal feast day, particularly in the form of processions and public demonstrations of charity. In the 1580s, the hospital’s collegiate church was decorated with frescoes by Jacopo Zucchi that echo the didactic and missionary elements of the Pentecost narrative. Shortly thereafter the organs were moved and choir galleries enlarged enabling large-scale polychoral music to be performed. 

The physical positioning of the choir and organs in the context of the painted apse, vault and altar suggest a multi-sensory experience designed to move the emotions, if not to overwhelm them. In this paper, previously unpublished examples of music transcribed from manuscripts in the surviving though dispersed music library of the church of Santo Spirito, a large quantity of which are held in the Biblioteca del Conservatorio di Santa Cecilia, will be used alongside iconographic and documentary evidence from the Archive of the Ospedale to illustrate how the power of sensory experiences of sight and sound was harnessed to deliver the Tridentine ideology.      

Naomi J. Barker 

is a Senior Lecturer and head of the Music department at the Open University. The focus of her research is seventeenth-century Italian music, especially that of Frescobaldi, and the social and cultural environments in which it was created and performed. Her recent publications include her book Music, Medicine and Religion at the Ospedale di Santo Spirito, 1550-1750 (Boydell, 2024) and articles in «Early Music» and «The Journal of Seventeenth-Century Music».


Le cerchie cardinalizie come crocevia di musicisti, artisti e collezionismo nella Roma del Seicento

Paola Besutti

(Università degli Studi di Teramo)

I cardinali e le loro cerchie hanno contribuito nei secoli a rendere Roma una città policentrica, crocevia di politiche, arti e affari. Più o meno ricchi e influenti, i numerosi principi della Chiesa che popolavano l’urbe potevano risiedervi stabilmente o per periodi brevi. I membri delle famiglie nobiliari romane disponevano di ampio corteggio, di più residenze, di beni, di personale di servizio, anche artistico, che erano strumenti sia della loro quotidianità, sia della manifestazione di sé al mondo. I porporati appartenenti a famiglie non-romane vivevano una diversa condizione. Legati alle nazioni d’origine, essi talvolta soggiornavano a Roma con discontinuità, affrontando difficoltà quali la ricerca di dimore prestigiose da affittare, costi elevatissimi, selezione di personale adeguato al rango. Tale peculiare status influiva sulle loro condotte. Le ricerche sin qui svolte, hanno posto in evidenza come lo studio della vita romana da detta angolazione cardinalizia extraterritoriale offra una visuale peculiare e fruttuosa anche in prospettiva musicologica e di intersezione fra arti. I cardinali non-romani tendevano, da un lato, a importare modelli culturali tipici delle loro zone di provenienza, da un altro lato, a esportare da Roma soggetti e pratiche gradite. Dunque, attorno ai cardinali ‘stranieri’ si muoveva con particolare vivacità il mercato immobiliare, artistico, librario e musicale. Questo tema verrà argomentato mediante casi emblematici, relativi soprattutto a cardinali provenienti dalle corti nord italiane durante il Seicento e il primo Settecento.

Paola Besutti

è docente di Musicologia e storia della musica (Università di Teramo) e membro del collegio di dottorato in Culture, pratiche e tecnologie […] della musica, del teatro e della danza (Università Roma Tre e di Teramo). Già direttrice della «Rivista Italiana di Musicologia» (2003-2010), attualmente dirige «Musicalia», fa parte dell’advisory board di «Studi musicali» ed è membro del comitato scientifico di varie riviste e collane. È socio ordinario dell’Accademia Nazionale Virgiliana, nella quale presiede la Classe di lettere e arti. Fra le collaborazioni scientifiche si ricordano quelle con la Fondazione Pietà de’ Turchini (Napoli) e con la Fondazione Claudio Monteverdi (Cremona).


L’idea di Roma nei drammi per musica romani del primo Settecento

Diana Blichmann

(Ricercatrice indipendente)

Nella città eterna del primo Settecento (1710-1750) furono messi in scena nei diversi teatri privati e pubblici una ventina di drammi per musica che davano una specificità al loco. Trattarono argomenti adottati dalla storia di Roma ben riconoscibile dai loro titoli, nei quali risaltano re, imperatori, consoli, senatori, politici e generali romani che segnavano il destino di Roma tra il 400 a.C. fino al 800 d.C. Tra gli altri spiccano i nomi di Romolo, Costantino e Carlo Magno, Gaio Mario, Giunio Bruto, Attilio Regolo e Ezio. Inoltre, le loro scenografie ebbero come “luogo dove si svolge la scena” la città di Roma ed i suoi d’intorni. In che modo hanno contribuito questi drammi a costruire l’idea di Roma?

Più nel dettaglio, si può affermare che nove di questi drammi per musica possono chiamarsi esclusivamente “romani”. Non avendo avuti alcuna rappresentazione in altre città nell’arco di tempo qui considerato erano legati in particolar modo a Roma. Verranno esaminate le peculiarità romane di queste opere percepibili nei personaggi in scena, nei luoghi dell’azione, negli effetti scenici e nel testo drammatico, con il risultato di individuare due performance che, per le singolarità poetiche e sceniche, furono esclusivamente connotate all’identità della città di Roma.

Diana Blichmann 

ha conseguito il PhD in musicologia. Le sono state assegnate contratti a diversi conservatori di musica per l’insegnamento di Storia della musica. Ha collaborato e collabora a progetti di ricerca tra cui PerformArt (Roma), La drammaturgia musicale a Venezia (Venezia) e DEUUM online (New York). Le sue indagini interdisciplinari vertono intorno all’opera italiana (Sei e Settecento) e recentemente in particolare agli aspetti politici e scenografici del dramma per musica.


“Buono e dotto signore, ma incostante e bisbetico”: il cardinale Camillo Cybo tra architettura e musica nella Roma del primo Settecento

Alessandro Brodini

(Università degli Studi di Firenze)

Dopo un trentennale percorso tra i meandri della corte papale, Camillo Cybo (1681-1743) viene creato cardinale nel 1729. La prestigiosa carica, però, sembra procurargli più fastidi che benefici, a partire dai problemi economici dovuti al nuovo status. E se da un lato, progressivamente, egli si estrania dalla vita pubblica, dall’altro i circa 4000 ducati di debito all’anno non gli impediscono di concentrarsi sui suoi interessi principali: la scrittura, l’architettura e la musica.

Sulla base di un’estesa indagine documentaria (in gran parte inedite, le carte Cybo sono conservate in Archivio di Stato di Roma, Archivio Apostolico Vaticano, Biblioteca Nazionale di Roma), questo intervento intende ricostruire la figura e il ruolo del cardinale Cybo come protettore delle arti. Nelle sue residenze, Cybo fa eseguire cantate e oratori su libretti composti da lui stesso, ma è anche protettore di musicisti e cantori. Tra questi, il clavicembalista e compositore tedesco Conrad Friedrich Hurlebusch, detto il Sassone; oppure Francesco Ciampi, compositore uciciale dei duchi Cybo a Massa; o ancora il violinista e compositore Pietro Antonio Locatelli, che al cardinale dedica i suoi XII Concerti Grossi (Amsterdam 1721).

Coltissimo e poliedrico amatore delle arti, ma anche considerato come un eccentrico dai contemporanei, Camillo Cybo può essere assunto come un significativo esempio del mecenatismo a Roma nel primo Settecento.

Alessandro Brodini

è professore associato in Storia dell’architettura presso l’Università degli Studi di Firenze. Architetto (Politecnico di Milano) e dottore di ricerca in Storia dell’architettura e dell’urbanistica (Università Iuav, Venezia), ha ottenuto diverse borse post dottorato (Bibliotheca Hertziana, Roma e A. von Humboldt Stiftung all’Università di Bonn) e assegni di ricerca (Università Iuav).

Le sue ricerche riguardano la storia dell’architettura moderna e contemporanea e le sue relazioni con la letteratura.


À l’intérieur du statisme: risonanze e influenze tra Muriel Jaër e Giacinto Scelsi

Fiorella Cardinale Ciccotti

(Università degli Studi “La Sapienza”, Roma)

L’intervento affronta gli aspetti interdisciplinari legati alla ricerca messa in atto dalla danzatrice e coreografa francese Muriel Jaër (1930-2021) tra la fine degli anni Sessanta e gli anni Settanta del XX secolo, con particolare riferimento alle sperimentazioni sul ritmo e alla lunga frequentazione con uno dei massimi esponenti dell’avanguardia musicale italiana, Giacinto Scelsi. Mettendo a confronto l’attenzione compositiva di quest’ultimo con il processo creativo di Muriel Jaër, saranno valorizzate le comparazioni tra le rispettive teorie musicali e coreutiche circa la plasmabilità e la spazializzazione della materia acustica e corporea. Scandagliando sia la documentazione fotografica che emerge dall’archivio privato della danzatrice sia gli archivi della Fondazione Isabella Scelsi, si coglieranno tali influenze grazie all’analisi di alcune pièce di Jaër in cui Giacinto Scelsi figura come compositore dei rispettivi brani omonimi. Saranno esaminate nello specifico Itesi e Ko-tha, andate in scena al Teatro Politecnico di Roma nel 1975, e Xnoybis. Incorporazione del ritmo, dissociazione delle diverse parti del corpo e traduzione della musica in gesto connotano i tratti salienti di un’esperienza che nasce e agisce in una dimensione liminale tra danza e musica.

Fiorella Cardinale Ciccotti 

è dottoranda in Musica e Spettacolo presso l’Università di Roma “La Sapienza” e si occupa di teorie e pedagogie nell’ambito della danza moderna francese del secondo dopoguerra. Formatasi all’Accademia Nazionale di Danza, si laurea con lode al corso magistrale in Teatro, Cinema, Danza e Arti digitali dell’Università di Roma “La Sapienza” con una tesi vincitrice del premio Barbara Sparti/AIRDanza 2022.


Il Nerone di Arrigo Boito: un’«opera d’arte totale»?

Raffaella Carluccio

(Università degli Studi di Ferrara)

Nel far propria l’espressione «Arte nostra divina», Arrigo Boito (1842-1918) – intellettuale tra i più complessi della cultura italiana del Secondo Ottocento: poeta, drammaturgo, librettista, novelliere, musicista – conferma con sincera intensità la completa adesione all’insegnamento di Alberto Mazzucato cogliendo quindi l’importanza di una «coltura generale», aperta a una conoscenza eclettica e pluridisciplinare.

In particolare, con la morte di Wagner nel 1883, il poeta-musicista riuscirà a formulare un giudizio maturo sul teatro musicale wagneriano tanto che la lezione del drammaturgo alemanno accenderà l’interesse di Boito verso il Kolossal cinematografico ante litteram, influenzando così l’ultima opera lasciata incompiuta a causa della sua morte: il Nerone.

Come afferma Jean-Jacques Nattiez, la leggenda imperiale del Nerone, oltre a rappresentare un tentativo di «sintesi fra la tradizione lirica del suo paese e le innovazioni wagneriane», rimane probabilmente uno dei testi teatrali più dettagliati del XX secolo.

Il contributo intende analizzare, in un’ottica sincretica tra le arti, la messa in scena del Nerone diretta da Arturo Toscanini il 1° maggio 1924. Un’opera quest’ultima che, come registrano i quotidiani del tempo, non è «la concezione di un letterato» ma piuttosto «la creazione di un artista multanime sorta da una complessa visione poetica, plastica e musicale».

Raffaella Carluccio

dottore di ricerca in “Scienze filologico-letterarie, storico-filosofiche ed artistiche” all’Università di Parma, studia la ricezione critica del rapporto sinestetico tra le arti e del concetto di Gesamtkunstwerk nelle opere verdiane a partire dal secondo dopoguerra. Nel corso delle celebrazioni nazionali coordinate nel 2019 dal Ministero Beni Culturali ha collaborato alla creazione della banca-dati della critica su Arrigo Boito. Attualmente è assegnista di ricerca all’Università di Ferrara.


Artisti nella città eterna: i musicisti borsisti della Real Academia de España in Roma (1874-1919)

Antonio Caroccia

(Conservatorio di Musica “Santa Cecilia”, Roma)

Fin dal 1873 l’Accademia di Spagna a Roma ha svolto un ruolo importante nella formazione di molte generazioni di artisti e intellettuali spagnoli. La relazione intende mettere in luce le attività dei musicisti borsisti dell’Accademia e soprattutto i rapporti intercorsi con le altre istituzioni romane. Difatti, fin dal 1874 numerosi furono i musicisti che soggiornarono nella città eterna tra questi Zubiaurre, Chapí, Serrano, Del Chorro, Carnicer e tanti altri che contribuirono allo scambio artistico e favorirono i rapporti tra le arti “nazionali”. Compositori che svilupparono la loro carriera attraverso la formazione romana e contribuirono alla diffusione delle arti all’interno della città di Roma, che si configura come una città di riferimento per lo sviluppo artistico-musicale. L’indagine che parte dal 1874 si estende fino alla fine della Grande Guerra e tende a sintetizzare gli sviluppi delle correnti musicali spagnole presenti a Roma, nonché l’importanza della Accademia all’interno dei circuiti delle istituzioni romane.

Antonio Caroccia

è professore di Storia della musica e responsabile dell’attività musicologica del Conservatorio “Santa Cecilia”. È dottore di ricerca in Storia, Scienze e Tecniche della Musica. È consigliere del CNAM, nonché componente dell’Ufficio di presidenza. È esperto coordinatore e di assicurazione interna della qualità AFAM per l’ANVUR. È Presidente dell’ANDA. È stato responsabile del settore convegni e insegnamenti musicologici della SIdM. È stato professore a contratto nelle Università di Perugia, L’Aquila e Firenze. È autore di numerosi volumi e saggi musicologici dedicati alla storia della musica dei secoli XVII-XX.


Il trionfo dell’effimero barocco a Roma: musica e arti per le macchine delle Quarantore

Teresa Chirico

(Conservatorio di Musica “Santa Cecilia”, Roma)

Le cerimonie sacre delle Quarantore, basate sull’adorazione dell’ostia consacrata, assunsero grande rilievo nella Città Eterna e, in particolare, in alcune Chiese che ospitarono grandi apparati scenografici ed eccellenti esecuzioni musicali affidate a celebri musicisti come Stefano Landi, Arcangelo Corelli, Ottavio Pitoni, Giovanni Battista Costanzi. Le Quarantore costituivano l’alternativa delle esibizioni ‘immorali’ del Carnevale romano, con l’allestimento di spettacolari teatri sacri costruiti attorno all’ostia consacrata. L’organizzazione delle cerimonie più importanti era gestita dai Vicecancellieri di Santa Romana Chiesa per la basilica di San Lorenzo in Damaso (i cardinali Francesco Barberini e, più tardi, Pietro Ottoboni) mentre per la Chiesa del Gesù, a inventare e architettare le macchine erano i padri Gesuiti che diedero un significativo contributo alla scenotecnica, all’architettura e, in generale agli allestimenti scenografici. Allo stato attuale la ricerca sulle Quarantore è decisamente insufficiente e necessita di numerosi approfondimenti e di uno sguardo complessivo sulla sinergia delle varie arti (architettura, pittura, decorazione, scenotecnica, musica). Le musiche e le scene delle Quarantore rappresentavano la quintessenza dell’effimero: se la musica lasciava traccia solo nelle partiture, le scenografie non erano da meno poiché venivano smontate e successivamente trasformate in altre creazioni, come opere d’arte in continuo movimento.

Teresa Chirico

È laureata in Lettere, diplomata in Pianoforte e in Canto; ha conseguito il Dottorato di ricerca in Musicologia e Storia della musica all’Università di RomaTor Vergata”. È docente di Storia della musicapresso il Conservatorio di Musica “S. Cecilia” di Roma. Ha al suo attivo numerosi convegni internazionali e molti articoli scientifici. Ha partecipato al progetto internazionale PerformArt. È autrice del libro L’aquila bicipite e la musica.[…] nellacollana “Studi e testi” della Biblioteca Apostolica Vaticana (2024).


La porta delle stelle: acustica del sacro e propaganda barocca nella Roma del Seicento

Galliano Ciliberti

(Conservatorio di Musica “Nino Rota” di Monopoli)

La porta delle stelle, immagini affrescate nelle altissime volte delle cupole di alcune importanti chiese romane (Sant’Andrea della Valle, Sant’Ignazio da Loyola ecc.), rappresentano sopra le nuvole santi e angeli che si librano verso l’empireo divino. Questa immagine aerea è tipica dell’arte barocca che usa la prospettiva e l’illusione per creare aspetti scenografici e drammatici. La musica sacra barocca ha lo stesso scopo di impressionare e commuovere gli ascoltatori. L’immaginario della Roma barocca è considerato tramite la sensorialità del sacro: intersezione tra performances musicali, gesti, parole, apparati effimeri e scenografici. Diversi elementi visivi e acustici – esplicitati nei riti urbani sacri più significativi della Città eterna (elezione dei pontefici, funerali, canonizzazioni di santi, processioni, ecc.) – sono analizzati all’interno delle categorie concettuali di arte visiva e di suono. La lettura intersecata di piani figurativi e sonori porta così a considerare la propagazione della musica come una vera e propria messa in scena dove la moltiplicazione acustica si insinua espandendosi negli “spazi pubblici” della città ed in particolare in quelli più ideologicamente sensibili. Queste confluenze tra dissimili sensibilità e molteplici sensi, tra una religiosità considerata quale propaganda politica e una radicata devozione popolare, vengono lette alla luce di quel simbologico “intreccio” tra l’idea di una città-immagine con quella di una città-sonora.

Galliano Ciliberti 

è professore di Storia della Musica per Didattica della Musica presso il Conservatorio di Monopoli. Dopo la laurea in Lettere ha conseguito il Dottorato in Musicologia all’Università di Liegi e il diploma di Post-Dottorato presso l’École Pratique des Hautes Études di Parigi. Autore di molteplici pubblicazioni scientifiche, ha partecipato a numerosi convegni internazionali. È stato vincitore del premio Bertini Calosso. Tra le sue ultime pubblicazioni, il volume Music Patronage in Italy (Brepols, 2021). 


“Con sontuosa magnificenza”: feste barocche farnesiane. Roma e il concerto delle arti. Dagli apparati effimeri ai dipinti di Giovan Paolo Panini

Anna Còccioli Mastroviti

(Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per le province di Parma e Piacenza )

Susanna Pighi

(Kronos-Museo della Cattedrale di Piacenza)

Sulla scena della Roma barocca, un ruolo tutt’altro che secondario giocò la casa Farnese e gli apparati effimeri di loro committenza, mezzi di propaganda politica descritti nelle relazioni a stampa e nelle incisioni per le più diverse occasioni festive di grande risonanza pubblica: soprattutto ingressi solenni e cavalcate del possesso. Numerose sono infatti, nella Roma di Gian Lorenzo Bernini e Francesco Borromini, di Pietro da Cortona, Girolamo e Carlo Rainaldi, le committenze dei duchi Farnese 

Ad esempio, nel ricco calendario delle feste romane, sacre e profane, ordinarie e straordinarie, si deve a Girolamo Rainaldi (1570-1655), architetto romano dei Farnese, l’arco trionfale eretto a spese di Odoardo Farnese (1612-1646) in Campo Vaccino il 23 novembre 1644 in occasione della cavalcata del “possesso” di Roma, ovvero la lunga processione del neoeletto papa Innocenzo X Pamphilj (1644-1655).

Dietro questi progetti di magnifici apparati si colgono il tentativo di celare l’allontanamento del casato, che all’epoca non esprimeva più cardinali, dalla curia romana, e le interazioni, talora stringenti, tra scenografi, architetti, quadraturisti. “Augustissimi sponsali”, esibizioni sinfoniche e ingressi solenni, fissati per sempre nei diari della festa, riflettono l’atmosfera spettacolare orchestrata da musici e poeti, scultori e pittori, architetti e ingeneri, stuccatori e “fuocaroli” nell’intrecciarsi dei saperi per la celebrazione del potere del pontefice e/o del sovrano. 

Anna Còccioli Mastroviti 

Ha conseguito la laurea in Lettere moderne e il perfezionamento in Storia dell’Arte Medievale e Moderna presso l’Università degli studi di Bologna. È funzionario storico dell’arte presso la Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le province di Parma e Piacenza e responsabile dell’area funzionale Patrimonio storico artistico e dell’Ufficio comunicazione. Ha partecipato a convegni internazionali di studi e ha al suo attivo numerosi studi monografici, saggi e articoli su riviste specializzate.

Susanna Pighi

si è laureata a Firenze in Lettere a indirizzo artistico e specializzata a Siena in Storia dell’arte. Diplomata in Archivistica, è conservatore del Museo della Cattedrale di Piacenza e si occupa del patrimonio mobile presso l’Ufficio Beni Culturali della Diocesi di Piacenza-Bobbio. Ha partecipato a convegni e pubblicato testi su scultura lignea di periodo cinque-settecentesco. Ha curato vari cataloghi di mostre e collaborato a curatela di volumi sulla chiesa di S. Sisto e sulla collegiata di Castell’Arquato.


Carosello napoletano. Quando a Roma l’industria cinematografica incontrò la canzone napoletana

Carla Conti

(Conservatorio di Musica “Santa Cecilia”, Roma)

Tra i più fervidi incontri di vari fenomeni artistici che Roma ha contribuito a sviluppare, uno deve proprio a questa città la sua nascita e più di altri è rimasto legato all’immaginario romano: la produzione cinematografica a Cinecittà. Se la “nascita della settima arte” non si deve propriamente a Roma, poiché fu preceduta da esperienze significative a Napoli e Torino, è a Roma però che con Cinecittà questa arte, interdisciplinare di per sé, si afferma ben presto oltre i confini nazionali.

In questo contributo intendo mettere in luce Roma come crocevia delle arti performative, non in quanto soggetto narrato, per la sua storia, i suoi monumenti, la sua complessità sociale, che si afferma nel mainstream con pellicole come Roma città aperta, Vacanze romane, Mamma Roma, ma in quanto industria cinematografica romana, culturalmente “aperta” a una tematica per più versi singolare come quella della canzone napoletana, incentrando il discorso su Carosello napoletano che è un lavoro emblematico per molte ragioni. 

Nel 1954 Cinecittà, grazie alle professionalità che vi collaboravano (il produttore Carlo Ponti, il regista Ettore Giannini, gli sceneggiatori Remigio Del Grosso e Giuseppe Marotta, il compositore Raffaele Gervasio tra gli altri), seppe investire fondi (un cast numerosissimo tra attori e corpi di ballo) e sperimentazione (col primo uso del technicolor) in Carosello napoletano, valorizzando un patrimonio musicale secolare per un prodotto audiovisivo internazionale di successo.

Carla Conti

Docente di Direzione di Coro e Repertorio Corale, project manager e ricercatrice in NEWSinMAP (2019-22) e RAPPLab (2022-23), è ideatrice di EUPROGEMS (Jean Monnet 2023-26) e del master AReMus, è laureata al DAMS di Bologna e diplomata in Pianoforte, in Musica Corale e Direzione di Coro, e in Didattica della Musica. È autrice di una monografia sulle musiciste a Napoli tra ’700 e ’800; ha partecipato a numerosi convegni scientifici internazionali (Helsinki, Berna, Vienna, San Pietroburgo, Berlino).


“Spruzzi d’acqua odorifera & una grandine leggiera di confetti”

Maria Paola Del Duca

(Ricercatrice indipendente)

Liturgia di un regio apparecchio in una notte di Ferragosto del 1668 in Roma

Roma nel Seicento è un magnifico teatro del mondo.La città è meta di viaggiatori e pellegrini, con i pontefici che si trasformano in munifici committenti di grandiose opere destinate a testimoniare la magnificenza della Chiesa di Roma. Ogni cerimonia sacra o profana diviene il pretesto della festa, con cortei, musica e grande pompa; i più grandi architetti realizzano strabilianti apparati effimeri la cui provvisorietà di cartapesta verrà più tardi impressa nelle acqueforti a bulino. Nella notte di Ferragosto del 1668, il cardinale Flavio Chigi seniore, nipote del defunto pontefice Alessandro VII, organizza un superbo convito nel giardino del casino delle Quattro fontane in onore delle nipoti del papa regnante Clemente IX Giulio Rospigliosi, le virtuose principesse “papaline” Caterina e Maria Maddalena. Carlo Fontana, architetto del Chigi, crea per l’occasione un incantevole artificio scenografico del quale si conservano le sorprendenti incisioni di Teresa Del Po e Pietro Santi Bartoli. 

Questa narrazione intende ricercare i particolari inediti di quel superbo banchetto attraverso l’osservazione e lo studio dei luoghi, dei nobili ospiti, dell’intrattenimento musicale, dei musici nella realizzazione della magnifica notte di Ferragosto nella quale magicamente si fonderanno, con incredibile sinergia, la sommatoria delle arti maggiori e minori.

Maria Paola Del Duca

contralto, è una ricercatrice indipendente nata a Roma, dove attualmente vive. Si diploma in Musica Antica Vocale I e II livello presso il Conservatorio “L. Refice” di Frosinone con la tesi “Finch’eclisse fatal – Madrigali durevoli del tardo barocco”. Da allora partecipa a convegni e conferenze internazionali i cui saggi sono stati tutti editati. I suoi studi sono particolarmente dedicati al repertorio madrigalistico del tardo Barocco di cui cura trascrizioni ed esecuzioni.


Spazio e suono nella Roma del tardo Seicento: due casi

Luca Della Libera

(Conservatorio di Musica “Licino Refice”, Frosinone)

La relazione tra le scelte compositive e gli spazi per i quali alcuni repertori erano eseguiti è un campo ancora non molto indagato. Lo spunto per il presente intervento è dato dal confronto tra un progetto effettuato tra il 2010 ed il 2018 sul repertorio eseguito nella Chiesa di Sant’Ivo alla Sapienza, il capolavoro di Francesco Borromini, e quello che ho studiato per la Cappella Paolina a Santa Maria Maggiore, uno dei più significativi edifici sacri della Roma controriformistica. 

Attraverso il reperimento di documenti d’archivio conservati all’Archivio di Stato di Roma, è stato possibile determinare gli organici vocali e strumentali presenti nel 1661 in occasione della festa della dedicazione di Sant’Ivo, il 19 marzo. In quell’occasione fu eseguita con molta probabilità la messa a tre cori Ecce sacerdos magnus di Orazio Benevoli. La partitura, come ha dimostrato anche un concerto realizzato nel 2018 con i tre cori collocati nelle tre cantorie della chiesa, nella sua organizzazione complessiva rispetta lo spazio borrominiano. Del tutto diverso è il caso del repertorio cantato nella Cappella Paolina, in particolare della produzione di Alessandro Melani. Qui la collocazione molto più ravvicinata delle due cantorie sopra l’altare è del tutto in sintonia con le scelte compositive di Melani, in particolare il trattamento dei due cori e l’armonia molto avanzata.

Luca Della Libera 

si è diplomato in flauto al Conservatorio Santa Cecilia, laureato con il massimo dei voti e la lode in Storia della Musica alla Università La Sapienza e addottorato all’Università di Roma Tor Vergata. È docente di Storia della musica al Conservatorio di Frosinone. Ha pubblicato il volume La musica sacra romana di Alessandro Scarlatti, tradotto in inglese per Routledge. Ha pubblicato vari volumi di edizioni critiche di musica sacra di Alessandro Scarlatti e di Alessandro Melani (L’empio punito).


Zinaida Volkonskaja e Nadine Helbig, mecenati russe in equilibrio fra bridging cultures e self-affirmation

Mirella Di Vita

(Conservatorio di Musica “Santa Cecilia”, Roma)

I ritratti e le descrizioni di Zinaida Volkonskaja e Nadine Helbig, a noi pervenute tramite quadri, diari e foto, ci restituiscono due figure femminili praticamente antitetiche, soprattutto per quanto riguarda l’aspetto fisico: affascinante, leggiadra, dotata di naturale eleganza l’una, sovrappeso, goffa e decisamente poco curata dal punto di vista estetico l’altra; eppure molti sono i tratti che accomunano queste due assolute protagoniste della vita sociale e intellettuale romana fra il 1820 e il 1922. Entrambe russe, di famiglia aristocratica, colte, dotate di una spiccata intelligenza, artiste poliedriche (scrittrice, cantante e compositrice Zinaida, eccellente pianista, pittrice e appassionata archeologa Nadine), sono state esponenti di salotti divenuti punti di riferimento fondamentali per artisti celebri, giovani talenti, e soprattutto per pittori, musicisti e letterati russi che riuscivano a raggiungere Roma, culla delle arti e tappa principale del percorso di formazione culturale e sociale. I ricevimenti presso le diverse residenze romane delle due nobildonne si distinguono per essere autentiche fucine creative, dove gli aspetti più stimolanti e originali della letteratura, delle arti figurative e in particolar modo della musica hanno potuto incontrarsi e compenetrarsi fra di loro, nell’ottica di una vera sinergia fra arti e artisti, ma anche fra due diverse culture, quella russa e quella europea. 

Mirella Di Vita

Laureata in Lingue Straniere presso l’Università di Pisa, diplomata in Canto e in Didattica della Musica, è docente di Lingua Inglese presso il Conservatorio Santa Cecilia di Roma. Collabora con teatri e festival internazionali (La Biennale di Venezia, Opera de Chambre de Geneve, Dai-Ichi Hall di Tokyo). Tiene lezioni sul melodramma e sul repertorio vocale in Italia e all’estero e svolge attività di ricerca storico-musicologica con particolare attenzione alla musica vocale russa del XIX secolo. 


«Che i raggi spanderà dal Tajo a Roma»: la Cantata Gloria, Fama, Virtù in onore di Giovanni V di Portogallo e l’esperienza romana del compositore António Teixeira (1707-1774)

Cristina Fernandes

(Universidade Nova de Lisboa, INET-md)

António Teixeira (1707-1774) fu uno dei giovani musicisti inviati a Roma dal re Giovanni V di Portogallo per perfezionare la sua formazione e uno dei più importanti compositori portoghesi del Settecento. La sua carriera s’inserisce nell’ampio processo di assimilazione e adattamento dei modelli artistici, musicali e cerimoniali romani da parte della corte di Lisbona e d’investimento nelle arti come strumento politico e diplomatico della Corona portoghese nella Città Pontificia. Proprio come i compositori João Rodrigues Esteves e Francisco António de Almeida, i pittori Vieira Lusitano e Inácio Oliveira Bernardes o lo scultore José de Almeida, tra gli altri artisti che usufruirono del patrocinio reale, António Teixeira è stato in grado di entrare in contatto con l’ambiente artistico e culturale romano e di raggiungere una formazione di alto livello, come testimoniano opere emblematiche, quali il Te Deum, per otto solisti, cinque cori  e orchestra (1734) per il giorno di San Silvestro o la Cantata Gloria, Fama, Virtù (P-Ln, M. M. 4794), in onore di Giovanni V. Questa relazione mira a discutere nuove ipotesi sulla creazione di quest’ultima opera e a dimostrare in che misura l’esperienza romana di Teixeira si rispecchia nella composizione, sia dal punto di vista poetico che musicale. L’indagine attorno all’opera musicale di Teixeira considera anche la dimensione trasversale delle allegorie Gloria, Fama e Virtù nelle varie arti, soprattutto nella pittura.

Cristina Fernandes 

Ha conseguito il suo dottorato di ricerca presso l’Università di Évora (2010) e ha svolto un post-dottorato sulle pratiche musicali della Cappella Reale e Patriarcale di Lisbona (1716-1834). È ricercatrice presso INET-md (Universidade Nova de Lisboa). È stata co-PI del progetto PROFMUS finanziato dalla Fundação para a Ciência e a Tecnologia e ha fatto parte del team del progetto PerformArt finanziato dall’ERC (ÉFR-Roma, CNRS). Ha pubblicato su vari argomenti, in particolare sulle relazioni musicali tra Portogallo, Spagna e Italia.


The Urban Amphitheater: 1930s Rome as a Cinema Set for Luce Newsreels

Francesco Finocchiaro

(Conservatorio di Musica “Gioachino Rossini, Pesaro)

Thanks to the Istituto Nazionale Luce, Fascism was the first government in the world to exercise direct control over newsreel information. The Luce films became the transmission belt for the regime’s propaganda: above all, they were the vehicle for the on-screen representation of Fascism and the dissemination of Mussolini’s personal image.

In a corpus of about 20,000 sound newsreels of the Fascist era, there are about 2,000 issues staging the city of Rome, most of them with overt political-propaganda content. Beginning with the celebration of the 10th anniversary of the March on Rome, the audiovisual composition of the Luce newsreels was increasingly used to maintain the cornerstones of Fascist rhetoric, from Latinity to militarism. Improvements in recording technology after 1935 made it possible to record live choral performances, which became an integral part of lavish propaganda ceremonies staged for dissemination through the medium of film: diegetic songs and anthems, with or without instrumental accompaniment, were offered to the founding father of the Empire by the military troops against the backdrop of Rome’s iconic squares and monuments, transformed into the cinematic stage of collective rituals.

From this survey follows the main purpose of this paper: to highlight the methods of audiovisual composition developed by Luce’s films in constructing ideologically imbued messages.

Francesco Finocchiaro 

is a Research Scientist in Musicology at the University of Milan and Privatdozent at the University of Innsbruck. His research interests cover the areas of composition, theory, and aesthetics in 20th-century music. He has published extensively on film music, with a special focus on the relationship between musical Modernism and German cinema (Palgrave 2017). His latest monograph – Dietro un velo di organza (AUP 2020) – deals with the film music criticism during the silent era.


Città aperta – musica chiusa? Le Pagine romane (1937-1946)  di Renzo Rossellini

Christoph Flamm

(University of Heidelberg)

A differenza delle sue colonne sonore, le opere sinfoniche di Renzo Rosselini sono quasi completamente scomparse dalla nostra coscienza. Le “Pagine romane” sono un caso particolarmente interessante: un trittico compilato a posteriori, composto dalla rapsodia “Stornelli della Roma bassa” (1946), dai tre movimenti “Stampe della vecchia Roma” (I. Natale, II. I birocci, III. Il saltarello a Villa Borghese; 1937) e la cantata corale “Roma cristiana”, a sua volta composta da un Preludio orchestrale e da un Alleluia vocale-strumentale (1940). Le immagini poetiche della città di Roma legano queste opere in un’unità tematica, mentre in realtà dovrebbero essere separate da una cesura storica profondissima. Il mio contributo intende mostrare in che misura il trittico sia debitore della cosidetta Trilogia romana di Respighi, e stabilire il legame con i film del fratello. La domanda centrale è se esista una continuità estetica oltre Anno zero 1945 che possa anche suggerire una riconsiderazione del neorealismo cinematografico. 

Christoph Flamm 

studied musicology, art history and German language and literature in Heidelberg. He worked on the editorial board of the encyclopedia MGG 1994–2001, then at the Istituto Storico Germanico in Rome 2001–2004. He habilitated at Saarland University with a study on Italian instrumental music in the early Novecento. After professorships in Berlin, Klagenfurt and Lübeck, he has been Professor of Musicology at the University of Heidelberg since 2020. 


Roma, Manuel de Falla e l’art latin: un particolare incontro nel maggio 1923

Álvaro Flores Coleto

(Universidad de Granada)

Elizabeth S. Coolidge, mecenate delle arti e fondatrice dei Berkshire Festivals of Chamber Music (Massachusetts), decise di convocare un incontro musicale privato a Roma nel maggio 1923. Su invito personale, i musicisti europei più attivi dell’epoca si sarebbero incontrati personalmente con la Coolidge per presentare i loro progressi compositivi. In un’atmosfera di vicinanza e riservatezza, si tennero due brevi concerti da camera che incoraggiarono gli ospiti a conoscersi tra di loro. 

Tra i partecipanti internazionali c’era un rappresentante spagnolo, Manuel de Falla, che pur non avendo partecipato ai concerti fu molto attivo durante quei giorni. La sua visione in prima persona può offrire una prospettiva privilegiata da cui analizzare diversi aspetti di un evento che soltanto occupò cinque giornate: sessioni di concerti, colloqui improvvisati, viaggi turistici e una serie di situazioni che hanno permesso ai convocati di conoscersi. 

Il presente lavoro si propone quindi di offrire una panoramica di questo evento nei suoi derivati artistici e personali, considerando ciò che ha significato per la diffusione dell’opera di Manuel de Falla in Italia. Ciò nonostante si rifletterà anche sulle ragioni che hanno portato alla scelta di Roma come sede dell’incontro, in cui si intravede il recupero del concetto di art latin e il suo possibile arricchimento semantico nel contesto interbellico e pochi mesi prima dell’ascesa al potere di Benito Mussolini. 

Álvaro Flores Coleto 

Laureato in Storia e Scienze della Musica con una magistrale in Beni Musicali presso l’Università di Granada dove ha conseguito il dottorato di ricerca nel 2023 con la tesi internazionale Italia: una silenciosa presencia constante en la obra de Manuel de Falla. Organista liturgico, è direttore musicale nell’Abazia del Sacro-Monte e formatore musicale del Seminario Diocesano San Cecilio sempre a Granada. Dal gennaio 2022 appartiene al gruppo AlumniLevi della Fondazione Ugo e Olga Levi di Venezia. 


Collezionisti e interessi musicali nel tardo barocco romano:  alcuni casi di studio

Dalma Frascarelli

(Accademia di Belle Arti, Roma)

L’intervento intende presentare alcuni casi di studio che riguardano collezionisti attivi a Roma tra la seconda metà del Seicento e i primi decenni del Settecento appassionati non solo di pittura, scultura e architettura, ma anche di musica, oltre alla letteratura e alle scienze. In particolare, saranno illustrate principalmente le vicende di Pietro Gabrielli (1660-1734), singolare mecenate che si avvalse della consulenza dell’amico Arcangelo Corelli per i propri acquisti d’arte e che coltivò spiccati interessi musicali, testimoniati da fonti documentarie. Sarà inoltre proposta all’attenzione degli studiosi la figura di Paolo Falconieri (1634-1704), zio di Pietro Gabrielli, agente mediceo e collezionista che a Roma fece costruire la propria dimora accanto al palazzo familiare di via Giulia, per esporre la propria importante raccolta di dipinti ma anche per ospitare eventi musicali. Entrambi i gentiluomini furono legati ai salotti culturali di Cristina di Svezia e furono protagonisti di una socialità che ebbe nel cardinale Pietro Ottoboni (1667-1740) una delle principali figure di riferimento nel contesto romano tardo barocco.

Dalma Frascarelli 

insegna Storia dell’Arte Moderna all’Accademia di Belle Arti di Roma. Ha conseguito l’ASN per associato di Storia dell’Arte presso le Università ed è membro del comitato scientifico dell’Istituto Nazionale di Studi Romani; della collana Biblioteca barocca e dei Lumi (Argo Editrice) e della rivista Zeusi. Le sue ricerche sono rivolte all’arte tra ’500 e ’700, Tra le numerose pubblicazioni si segnala L’arte del dissenso. Pittura e libertinismi nell’Italia del Seicento, Einaudi, Torino 2016.


Il connubio tra pittori e musicisti a Roma negli anni della dominazione francese (1809-1814)

Nastasja Gandolfo

(Università degli Studi di Roma tre)

Negli anni della dominazione francese a Roma (1809-1814), l’Accademia di Francia a Villa Medici costituiva un luogo privilegiato per l’incontro tra pittori, scultori, architetti e musicisti. Fin dal 1666, gli artisti vincitori del Prix de Rome venivano a Roma per perfezionare i loro studi; nel 1803 il premio fu esteso anche ai compositori di musica. Uno dei primi musicisti a vincere il premio fu il violinista e compositore Pierre Auguste Louis Blondeau (1786-1863), il quale soggiornò a Roma dal 1809 al 1812 e scrisse un diario di viaggio, che offre uno sguardo sulla vita quotidiana a Villa Medici in quell’epoca. Nel Voyage d’un musicien en Italie, Blondeau descrive un intenso connubio tra artisti presso l’Accademia di Francia: in particolare, egli teneva stretti rapporti con i pittori Jean-Dominique Ingres e Jean-Pierre Granger, i quali erano anche musicisti dilettanti. Blondeau racconta infatti che una volta a settimana si riunivano per suonare in trio (Ingres suonava il violino, Granger la viola), e talvolta si aggiungevano anche i fratelli Gregorio e Francesco Fidanza, per cui eseguivano anche quartetti e quintetti d’archi. La relazione si concentrerà quindi in primo luogo sul ritratto della vita musicale romana descritto da Blondeau nel suo diario; in secondo luogo sarà fatta una ricognizione delle opere composte da Blondeau a Roma e in particolare sarà analizzata l’idea di Roma nelle due cantate composte per la nascita del figlio di Napoleone nel 1811.

Nastasja Gandolfo 

si è laureata in Musicologia e Beni Musicali all’Università di Roma “Tor Vergata” nel 2008. Nel 2023 ha conseguito il dottorato di ricerca presso l’Hochschule für Musik di Würzburg. Attualmente si sta occupando della musica strumentale a Roma nella prima metà del XIX secolo con un assegno di ricerca presso l’Università di Roma Tre. Collabora inoltre al progetto per la catalogazione dei fondi musicali della Biblioteca Angelica e all’edizione critica dell’epistolario di Padre Albino Varotti.


«… fecero succedere la dolce agilità del piede in un Minuetto francese».  Balli francesi e balli “alla francese”  nei documenti del Seminario Romano tra Sei e Settecento

Gloria Giordano

(Accademia nazionale di Danza, Roma)

Fonti archivistiche, scenari e libretti delle accademie, relativi agli spettacoli allestiti presso il Seminario Romano tra Sei e Settecento, attestano la presenza di balli francesi e “alla francese”, secondo la moda al tempo. Tali fonti evidenziano l’assenza di coreografie di repertorio e un ritardo nella pratica del ballo francese rispetto ad altri Collegi nobiliari della penisola, argomento ancora da indagare. Fatta eccezione per Carlo de Lamar, presente al Seminario nel 1695, a insegnare il ballo francese nell’istituzione gesuita erano maestri italiani, ancorché a Roma la presenza di maestri d’oltralpe fosse attestata già intorno al 1680 (Nicolò Preval), incrementandosi dall’inizio del nuovo secolo con Fonton, L’Éveque, gli Arnault e altri. 

Obiettivo dell’intervento è restituire e contestualizzare elementi utili alla storia della tecnica coreutica, analizzando tipi di danze – bourrée, gigue, loure, menuet, passepied, sarabande – e balli “alla francese”, eseguiti da chierici e convittori nelle rappresentazioni teatrali e nelle accademie del Seminario Romano. Una lettura attenta alle raccolte di musica per danza, afferenti all’area romana, attestanti la presenza di quegli stessi tempi musicali già in anni precedenti. 

Argomenti di indagine sono: i maestri di ballo, i cui nomi sono quasi del tutto assenti nella storiografia coreica, gli esecutori, forme e i tipi di balli, aspetti tecnici, terminologici e stilistici. 

Gloria Giordano

Danzatrice, coreografa, studiosa di danza storica. Docente di Teoria della Danza presso l’AND. PhD presso l’Université “François Rabelais” de Tours (tesi sulla danza a Roma tra Sei e Settecento, 2022). Partecipa a progetti di ricerca internazionali (2016-18 Les «chaînons manquants», CND- CMBV, dir. N. van Parys; 2016-22 PerformArt, ERC). Dal 1989 è invitata presso Università, Conservatori di Musica in Italia e all’estero. Dal 2012 è responsabile della collana BIBLIOTECA di DANZA (Piretti Editore). www.gloriagiordano.it 


“Sì, sì: trionfa, Monarchia Latina, all’AUSTRIA in grembo”. The Habsburgs in the Guise of Roman Emperors in the Opera and Other Art Forms

Konstantin Hirschmann

(Universität für Musik und Darstellende Kunst Wien – mdw)

Around the year 1700, the Viennese imperial court regularly witnessed the performance of musico-dramatic pieces on festive occasions; these were usually called componimento per musica, festa per musica, or simply serenata. Central to these encomiastic, propagandistic pieces were allusions to Rome, for the Habsburgs saw themselves not only as descendants of the Roman nobility, but also as successors to the ancient emperors, in accordance with the theory of the translatio imperii, a doctrine according to which the Imperium Romanum was transferred to the North with the coronation of Charlemagne. Consequently, Leopold I (1658–1705) and his son Joseph I (1705–1711) were fashioned in serenate and other image-enhancing artifacts as Roman emperors and their ancestors, Trojan city founders.

The (personified) Roman Empire celebrated the birth of Joseph I, in 1678, in La monarchia latina trionfante; when Joseph was crowned rex romanorum in 1690, the first seven kings of Rome bowed before him in Gli ossequi delli sette re di Roma. His marriage, nine years later, was applauded by a Concentus Romanae Aquilae. And during his brief reign, Joseph I entered the various (opera) stages in Vienna in the masks of Julius Caesar and Romulus and their Trojan ancestors Aeneas and Iulus Ascanius, before the Roman consecratio was revived on the occasion of his untimely death, when castra doloris showed Roman eagles accompanying him to heaven.

Konstantin Hirschmann 

studied Musicology, Political Science and Romance Studies (Italian) at the University of Vienna. His doctoral dissertation is on the serenata at the court of Emperor Joseph I (1705–1711), which was funded by the Austrian Academy of Sciences. He is currently working as a research associate in the Project “Paper and Copyists in Viennese Opera Scores. 1760–1775” (University of Music and Performing Arts Vienna – mdw) and as a research assistant at RISM Germany (SLUB Dresden). He has recently been appointed co-editor of the journal Musicologica Austriaca.


Roma e la ‘romanità’ nell’epistolario tra Antonio Bruers  e i musicisti italiani del Ventennio

Sarah M. Iacono

(Conservatorio di Musica “Giuseppe Martucci”, Salerno)

«Roma è un centro d’attrazione e uno dei crocevia del mondo, i cui venti opposti si incontrano e si azzuffano». Nel 1934 Guido M. Gatti dipingeva così, sulle pagine di «La rassegna musicale», gli aspetti più contraddittori della situazione musicale in Italia. Questi elementi discordanti sembravano incarnarsi perfettamente nel panorama artistico della Capitale, divisa tra le due spinte convergenti-divergenti del rinnovamento e del ripristino dell’ordine, proprie del progetto politico fascista. 

Preziosa testimonianza del passaggio dalla proiezione verso il futuro e la modernità al consolidamento della tradizione e del passato – che vede Roma come fulcro e mito fondativo – è l’archivio privato di Antonio Bruers, figura chiave dell’apparato del Ventennio, in quanto Vicecancelliere della Real Accademia d’Italia, massima istituzione culturale della nazione. Questo contributo si propone di passare in rassegna i carteggi tra Bruers e i più importanti musicisti attivi in Italia tra gli anni Venti e Quaranta del Novecento: personaggi che rappresentavano indirizzi estetico-creativi assai variegati e che si posero nei confronti del Regime in posizioni molto diverse, nel tentativo, spesso non riuscito, di mantenere uno spazio di autonomia tra le cogenti direttive culturali fasciste.

Sarah M. Iacono 

ha conseguito il dottorato di ricerca in «Storia e critica dei beni musicali» presso l’Università del Salento. Laureata in Beni Culturali, è diplomata in Viola e in Musica Antica. Ha conseguito il diploma di specializzazione in Biblioteconomia presso la Scuola Vaticana di Biblioteconomia-Biblioteca Apostolica Vaticana. Insegna Musicologia sistematica nel Conservatorio di Salerno. Ha partecipato a convegni internazionali e pubblicato saggi in volumi miscellanei e riviste scientifiche di prestigio. 


Antonio Tedeschi (1702-1770): The role of an Italian musician in the construction  of João V of Portugal’s “Lusitanian Rome”.

Fernando Miguel Jalôto

(INET-md | Universidade Nova de Lisboa Faculdade de Ciências Sociais e Humanas)

Antonio Tedeschi was a Neapolitan priest who served the Portuguese court from 1733 until his death, as a singer, composer, librettist and poet. The aim of this communication is an assessment of his artistic creations in varied fields such as sacred music, opera librettos and panegyric poetry, here considered as a contribution to the strengthening of a Roman-oriented artistic and cultural figurine in Lisbon, and corresponding to the political and aesthetical ambitions of the Portuguese king John V. Tedeschi was a highly skilled professional, and his life and career are a particular example of cultural crossway, artistic circulation and creative interchange in this specific period and context. Although Tedeschi’s biography is difficult to sketch, some documentation allow to infer his connections with the most important Roman cultural institutions of his time, such as the Accademia dell’Arcadia, the circle of Cardinal Ottoboni and the Congregazione di Santa Cecilia, as well as a possible relations with Giuseppe Firrao, Bishop of Aversa, Nuncio in Portugal, and a member of Cardinal Corsini’s court. However, it’s above all the esthetical profile of Tedeschi’s musical and literary output that supports the strong associations with the Roman cultural milieu. His multiple artistic interests render him a significant study-case of the multitasked activity expected by the Portuguese king from his subjects in order to shape Lisbon’s cultural life in order to create a «Roma Lusitana». 

Fernando Miguel Jalôto 

holds a Master degree from the Early Music and Historical Performance Practice Department of the Royal Conservatory, The Hague and a Master degree in Music from Universidade de Aveiro. He’s currently finishing a PhD in Historical Musicology at the Universidade Nova de Lisboa where he’s a junior member of the research team INET-MD. His main research interests are History of Portuguese Music and Culture in the 17th and 18th centuries, and Historical Performance Practice. He is also performer of historical keyboard instruments and conductor.


Multimedia Opera: Costumes, Staging and Acting in Sant’Alessio

Christine Jeanneret 

(Università di Copenaghen, Centre for Privacy Studies)

In 1631, the opera Sant’Alessio by Stefano Landi to a libretto by Giulio Rospigliosi (future Pope Clement IX) was premiered in Rome at Palazzo Barberini with an all-male cast. Alexis returns from the Holy Land and lives as a beggar in front of his father’s house, keeping his identity secret even to his wife and mother. The devil makes a terrifying apparition; two comic characters, young impertinent pages, mocks Alessio; a hermit escapes the naughty pages by transforming into a bear. Alessio dies in poverty and his identity is revealed in a letter he holds.

Sant’Alessio was the first opera to be written on an historical subject. Cardinal Francesco Barberini, who commissioned it, had interests in Roman antiquity and ancient theatre. The costumes were designed after ancient statues and medals. The staging was partially realized by the famous Barberini painter Pietro da Cortona, using the conventional Renaissance city-set with architectural settings, the front stairs and courtyard, a spectacular scene with men trapped in the realms of hell and paradise. 

This opera is a unique case, because it has been commemorated in a lavishly printed score, due to the fact that it was an expensive private production. The score contains eight engravings giving precious details on the visual aspects, such as costumes, accessories, staging and acting, that will be analyzed to highlight the multimedia artform of opera. 

Christine Jeanneret is a musicologist specialized in early modern music, opera, staging and costumes. She has hold positions in Europe (École française de Rome, Centre de recherche du château de Versailles) and in the USA (Yale and Columbia). She is Associate Professor at the Center for Privacy Studies (University of Copenhagen), directing the project SOUND, an innovative research on historical soundscapes. In 2017 she was awarded Queen Margrethe II’s Rome Prize for her outstanding research.


I giardini nel Palazzo dell’Aliaferia. Pittura e scenografia nei disegni di Alessandro Prampolini

Olga Jesurum

(Accademia Ligustica di Belle Arti di Genova)

Nel panorama degli scenografi dell’Ottocento Alessandro Prampolini pittore e scenografo, attivo nei teatri di Reggio Emilia, Modena e Ravenna, sino a Venezia, costituisce un valido esempio della relazione fra pittura e scenografia, declinata sulla città di Roma. Prampolini deve la sua notorietà per aver disegnato la seconda scena del primo atto del Trovatore, I Giardini nel Palazzo dell’Aliaferia in occasione della prima rappresentazione dell’opera nel 1853 al Teatro Apollo di Roma: qui era giunto nel 1849 per compiere l’alunnato romano, periodo di studio durante il quale gli artisti provenienti dalle diverse scuole d’arte d’Italia e non solo potevano tramite l’osservazione dal vero formarsi quel corredo di immagini che poi avrebbero utilizzato nelle loro pitture e scenografie. Nel corso del suo soggiorno romano Prampolini ebbe modo di visitare oltre ai luoghi emblematici della città di Roma, Tivoli, Villa d’Este, Ariccia, lasciandone traccia nei suoi schizzi e disegni, oggi custoditi in un archivio privato. La relazione intende illustrare attraverso lo studio di esempi tratti dal Fondo il bagaglio visivo che l’artista ebbe modo di formarsi durante il suo soggiorno romano e che avrebbe in seguito utilizzato nel corso della sua attività di scenografo, per concentrarsi sull’analisi del bozzetto per Il Trovatore, esempio di quanto sovra esposto. 

Olga Jesurum

studiosa di iconografia teatrale, è docente di Teoria e Storia della Scenografia presso l’Accademia Ligustica di Genova. Autore de Il personaggio muto. Due secoli di scenografia verdiana, curatore de Verdi e Roma per l’Accademia Nazionale dei Lincei, è subject editor della nuova versione digitale del DEUMM per le sezioni di scenografia e regia. Recentemente ha pubblicato il volume Suonare il palcoscenico. Conversazioni sulla regia lirica con Stefano Vizioli per l’editore Artemide. 


«Si mantiene con grido, e concorso universale»: osservazioni del conte Filippo Ascolese agente della corte di Napoli a Roma

Paologiovanni Maione

(Università degli Studi della Campania “Luigi Vanvitelli”)

La vita romana è scrutata con acume dal conte Filippo Ascolese affinché la corte napoletana sia informata con dovizia di particolari su tutto ciò che riguarda la società capitolina. L’attività teatrale è oggetto di premurosi resoconti capaci di offrire giudizi tutt’altro che formali, con obiettività riporta i propri commenti sulle produzioni esibite dai teatri e si attarda soprattutto sulle maestranze di marca partenopea. 

Grande attenzione è riservata alla vita “mondana” religiosa costellata da “privati” ozi a cui la presenza del pontefice dà un tocco di eccezionalità, in incognito e fuori dall’esecuzioni “pubbliche” il santo padre si abbandona ai piaceri rappresentativi evitando di essere oggetto di critiche. Il contraddittorio rapporto tra il seggio di Pietro e i boccascena “luciferini” continua a intessere “cerimoniali” che salvaguardano l’immagine senza togliere il “morigerato” diletto. È pur vero che i sipari “abbrunati” spesso creano astinenza pubblica ma non privata e Ascolese dà conto delle occasioni di “edificante” diletto offerte dai palazzi. 

Non sfugge, all’attenzione del funzionario, tutto ciò che è promosso dalle grandi ambascerie di stanza nell’urbe sacra dando conto minuziosamente della riuscita delle manifestazioni. 

L’occhio vigile di Ascolese permette di accorciare le distanze tra le due città segnando anche il fitto “dialogo” che intercorre tra due grandi realtà dell’arte musicale e spettacolare tout court.

Paologiovanni Maione 

è professore presso l’Università degli Studi della Campania “Luigi Vanvitelli”, co-direttore artistico e scientifico della Fondazione Pietà de’ Turchini di Napoli, membro del comitato scientifico del Centro de Estudos Musicais Setecentistas em Portugal “Divino sospiro” di Lisbona; del Centro interdisciplinare di Cultura italiana (CiCi) dell’Universität Leipzig; di ARPREGO (“Archivio pregoldoniano”) dell’Università di Santiago de Compostela. È in diversi comitati scientifici di riviste, ha curato e pubblicato diversi libri e saggi.


Sofonisba versus Placidia.  Two women protagonists in the service of la “Regina del mondo”

Aneta Markuszewska

(University of Warsaw)

Nel 1722, due opere furono proposte al pubblico del Teatro d’Alibert di Roma. La prima opera della stagione fu Sofonisba (lib. F. Silvani, mus. di L. A. Predieri), dedicata a Giacomo III Stuart, e la seconda fu Flavio Anicio Olibrio (lib. A. Zeno, musica di N. Porpora) dedicata alla sua moglie Maria Clementina Sobieska. In particolare, il personaggio che dà il titolo alla prima opera è una figura ben nota, la cui storia drammatica è servita da ispirazione per innumerevoli dipinti, opere teatrali, ritratti letterari creati nell’ambito della querrele de femmes, ma anche per i creatori di drammi musicali. L’eroina della seconda opera, cioe Placidia, un’abile donna romana, è certamente meno nota, ma rientra perfettamente nell’ideale della donna forte dedita all’amato e alla patria fino alla fine della sua vita. Questa patria è ovviamente Roma. 

L’obiettivo di questo lavoro è quello di esaminare la costruzione di questi due tipi di femminilità diversi, persino ostili, nell’opera del XVIII secolo, che in ultima analisi servivano ai creatori delle due opere interessanti per promuovere lo stesso ideale: la perpetuazione del mito di Roma come regina del mondo. Per realizzare questa analisi, ho utilizzato varie fonti come, per esempio, i testi della querrele de femmes, dipinti, fonti storiche, le partiture delle arie conservate etc.

Aneta Markuszewska 

She graduated from the Institute of Musicology, University of Warsaw and in harpsichord from the Fryderyk Chopin Academy of Music in Warsaw and from the Hochschule für Musik in Würzburg in the field of Historische Tasteninstrumente (Historical Keyboard instruments). She defended her PhD dissertation on Festa i muzyka na dworze Marii Kazimiery Sobieskiej w Rzymie (1699–1714). She is an Assistant Professor at the Division of the General History of Music of the Institute of Musicology, the University of Warsaw. She has published many articles in Polish and in English.


Un laboratorio interdisciplinare a Roma: Die Schachtel (1962-63)  di Franco Evangelisti e Franco Nonnis

Alessandro Mastropietro

(Università degli Studi di Catania)

Die Schachtel è uno dei frutti emblematici dei tanti laboratori musicoteatrali romani, attivatisi dagli anni ’60 sia in ampi collettivi interdisciplinari, sia in collaborazioni ricorrenti tra specifiche figure, sia in espansioni transdisciplinari di una singola personalità. Il compositore F. Evangelisti (1926-1980) e il pittore-scenografo F. Nonnis (1925-1991), da anni partner intellettuali, elaborano una drammaturgia che: a) si dà come struttura esperienziale aperta, in cui una situazione di partenza (A, la ‘gabbia’ sociale consumista) sottoposta a sollecitazioni (B) può condurre a conseguenti azioni (C, accettazione o distruzione della gabbia-scatola); b) riverbera tale apertura sul testo, che lascia soprattutto al regista ampi margini di decisione nella formulazione dei media spettacolari, restando già stabilita la loro complessiva interrelazione; c) esclude l’impiego del canto, fungendo la voce da cartellonistica verbale collegata ad analogo uso di segnali-oggetti visivi e sonori. 

Die Schachtel verrà indagata anche grazie a documenti emersi dagli archivi Evangelisti e Nonnis che ne testimoniano, oltre alla stretta condivisione genetica, la difficoltà realizzativa persino nel contesto romano: nella capitale sarà eseguita solo nel 2000, ma a Roma ne viene pubblicato nel 1964 da Nonnis un rilevante paratesto spettacolare, nella forma di un ‘piano di regia’, entro uno degli organi pluridisciplinari di quel decennio, il periodico Grammatica diretto dall’artista Achille Perilli. 

Alessandro Mastropietro 

è professore associato in Musicologia e Storia della Musica presso l’Università di Catania. Diplomato in composizione, musica elettronica e direzione d’orchestra, ha dedicato il PhD al teatro musicale sperimentale in Italia, su cui ha pubblicato un’ampia monografia (Nuovo teatro musicale fra Roma e Palermo, 1961-1973, LIM 2020). Ha curato l’edizione critica degli scritti di Domenico Guaccero, pubblicazioni monografiche su Paolo Renosto e Francesco Pennisi, e un catalogo delle opere di Franco Evangelisti.


Gli audio inediti della Compagnia dei Giovani:  la Roma in Anima nera di Patroni Griffi (1960)

Marco Micheletti

(Universität für Musik und darstellende Kunst Wien)

La Compagnia dei Giovani fondata da Rossella Falk, Giorgio De Lullo e Romolo Valli ha avuto un ruolo cruciale nel ventennio teatrale romano 1954-74. Di rado l’analisi critica considera un fondo di registrazioni audio di una ventina di spettacoli, custodito presso il Museo Biblioteca dell’Attore di Genova. Con la presente relazione fornirò dapprima una breve panoramica su tale fondo e la sua digitalizzazione da me intrapresa negli ultimi due anni; poi mostrerò foto, alcune inedite, ed estratti della registrazione di Anima nera (1960) di Giuseppe Patroni Griffi, spettacolo esemplare per l’interazione tra artisti attivi nella capitale. Questa commedia di stampo neorealista, ambientata nella Roma degli anni ’50, fu scritta appositamente per la compagnia (prevedendo l’iniziale partecipazione di Mastroianni). Grandi novità per l’epoca erano tematiche quali i rapporti tra persone di ceto diverso, questioni morali legate anche all’omosessualità, espresse nel quotidiano romanesco dei protagonisti. L’ambientazione si giovava di un fondale di Renzo Vespignani, celebre disegnatore delle periferie capitoline, e la vicenda era cadenzata dalle musiche dei Platters, veri hits dell’epoca. Inoltre l’impianto registico di De Lullo e Pier Luigi Pizzi, contaminato dal linguaggio cinematografico, creava azioni simultanee in luoghi diversi. L’intervento intende omaggiare la compagnia nel settantesimo dalla sua fondazione e Romolo Valli all’avvicinarsi del centenario della nascita (1925-2025).

Marco Micheletti 

nasce a Bologna dove si diploma in pianoforte e laurea in musicologia. Trasferitosi in Austria, lavora all’Universität für Musik (Vienna) e alla Haydn Privathochschule (Eisenstadt) dove insegna stile e prassi esecutiva, storia dell’opera e dell’oratorio. Collabora con vari cantanti per lo studio dei recitativi e la composizione delle variazioni. Sta scrivendo una tesi dottorale sul recitativo del Sei-Settecento e da alcuni anni conduce ricerche sulla Compagnia dei Giovani. 


Sound Art in Rome: Italo-Spanish Creative Interferences

Carmen Noheda

(Instituto Complutense de Ciencias Musicales)

In 1959, Rome hosted an unprecedented event: the International Society for Contemporary Music (ISCM) dispersed composers throughout its spaces who would impact the history of recent music. Among them were Luciano Berio, Pierre Boulez, John Cage, and a young Franco Donatoni. Alongside these names appeared that of the first Spanish composer: Juan Hidalgo (1927-2018). That year, Milan had brought together Cage, Hidalgo, and Walter Marchetti, who participated in a performance in the Rotonda del Pellegrini. This creative connection would define the work of Juan Hidalgo, who left Rome to settle in Madrid, where he co-founded the Zaj Group with Marchetti, within the orbit of Fluxus, in 1964. These Roman synergies determined the subsequent trajectory of Spanish sound art. The resonances of Zaj and its creative relationships with Italy were reinforced in the later activity of sound and intermedia artists such as Concha Jerez and José Iges. Institutions and festivals such as Romaeuropa have promoted these interferences in unique performance places with works inspired by Rome, such as A-Roving (1993) by Eduardo Polonio, or the concert of bells for one hundred churches O Roma nobilis (1999) by Llorenç Barber. The proposal aims to locate these unexplored Italo-Spanish links in Spanish sound art through a creative symbiosis centred in Rome.

Carmen Noheda 

is a fellow of the Spanish Academy in Rome and a postdoctoral researcher at the Complutense Institute of Musical Sciences. She has been a postdoctoral researcher at the University of Sussex, and Visiting fellow at UCLA, Seoul National University and UFRJ. She holds a Ph.D. in Musicology from the Complutense University of Madrid with doctorate award. She collaborates with the Teatro Real, Teatro de la Zarzuela, Prado Museum, Queen Sofía Musem, or the Spanish National Orchestra.


“Attrito e Memoria”, una mostra/evento performativo in divenire nella Chiesa di Santa Rita in Campitelli a Roma nel 1992

Maria Enrica Palmieri

(Ricercatrice indipendente)

La chiesa sconsacrata di Santa Rita in Campitelli, posta in uno dei luoghi più suggestivi di Roma e chiusa da anni, nel 1992, per volontà della Giunta Capitolina di riaprirla con un evento artistico capace di interpretare la creatività contemporanea di allora in relazione alla specificità di quello spazio e della sua storia, ospitò “Attrito e Memoria” progetto mostra/evento performativo in divenire, a cura della scrivente in collaborazione con l’artista visivo Giovanni Di Stefano, il regista Italo Pesce Delfino e il compositore Luca Spagnoletti. Un racconto anche attraverso estratti video, delle fasi di quell’ evento unico che per scelta non fu mai più rappresentato fuori da quel contesto o riadattato in altre sedi teatrali. Nella scena culturale di quegli anni l’idea di lavorare ad un progetto sul concetto di “memoria e di limite” si impose come un’urgenza nella mia ricerca coreografica grazie alla frequentazione di artisti come Giovanni Di Stefano, rappresentante della Pittura Cieca, corrente stimolata dalle opere e dalle pubblicazioni dell’artista/scienziato Sergio Lombardo teorico dell’Eventualismo. Nell’accordo di agire entrambi con un impedimento, Giovanni bendato come al suo solito ed io legata con una corda, si inserivano gli altri due artisti che da questi limiti riuscirono a dare vita ad opere di grande valore creativo. Il limite diventava opportunità: oggi si chiamerebbe resilienza allora si trattava di una scelta di ricerca a cui non intendevamo rinunciare. Dentro il limite la libertà della sperimentazione accogliendo ciò che si veniva a generare e poi la memoria per non perdersi o disorientarsi ma rimanere presenti e consapevoli come richiede la ritualità dell’azione scenica.

Maria, Enrica Palmieri

studia composizione della danza a NYC presso la Murray Louis and Alvin Nikolais Dance Theatre Lab, al Reed College Portland, Oregon e a San Francisco. In Italia fonda la compagnia di danza “Lenti-a-contatto”. I suoi spettacoli vengono rappresentati in Italia e all’estero. Laureata in Lettere all’Università degli Studi di Roma La Sapienza con una tesi in antropologia della danza, pubblica articoli su riviste scientifiche. Docente presso l’AND, svolge due mandati come direttrice e come rappresentante nel CNAM al MUR. 


Francesco e Ferdinando Galli Bibiena a Roma in teatri e collegi. Il dialogo con l’Arcadia

Marinella Pigozzi

(Università degli Studi di Bologna)

Francesco Galli Bibiena lascia il ducato Farnesiano nel 1693 per lavorare a Roma al teatro Tordinona. Sue le scene per Il Vespasiano e per Il Seleuco. L’anno seguente nel teatro della Pace è impegnato per Il Roderico e per L’Orfeo con libretto di Aurelio Aureli, che si volle dedicare al cardinal Pietro Ottoboni. E operativo ancora nel 1695. Sono stati tre anni di intenso lavoro per Francesco, ma anche di grandi successi per il suo “stil nuovo”. Ritornerà a Roma nel 1716 per rinnovare le scene del teatro Capranica e a Roma lavorerà sino al 1721, intervenendo anche nei teatri del collegio Clementino e Alibert.

Ferdinando, il fratello, già a Roma nel 1670 per un insoddisfacente viaggio di studio, vi ritorna ormai famoso scenografo nel 1697. Al teatro Capranica prepara le scene per L’Eusonia e per l’Aiace, libretto con dedica agli Arcadi. Non si conoscono sue affiliazioni all’Arcadia, ma con gli Arcadi, bolognesi e romani, era in continuo contatto. Alla formazione del nuovo gusto ha dato un impulso considerevole l’Arcadia. Il dialogo pittura-poesia-scena dipendeva dall’esigenza, comunemente avvertita da pittori e poeti, per un ritorno alla misura, alla naturalezza, considerate alla base del “buon gusto”, spesso dietro la maschera pastorale. Ferdinando ritornerà a Roma nell’ottobre del 1700 per accogliere la nomina ad accademico di merito in seno all’Accademia di San Luca.

Marinella Pigozzi

è professore di Storia della critica d’arte e di Museologia e collezionismo presso l’Università di Bologna. Ha insegnato in dottorati italiani e in scuole di specializzazione straniere. È stata visiting professor in università brasiliane (Belém), francesi (Poitiers) e della Repubblica Ceca (Olomouc). Ha fondato e diretto dal 2012 “Intrecci d’arte”, la rivista on line e in open access dell’Alma Mater Studiorum, Università di Bologna. Continui i suoi studi sulla scenografia.


“Apprendete o Regnanti…”- echoes of the myth of the papacy as spiritual leader over the secular powers in Roman oratorios based on the Book of Judith (17th/18th century)

Anna Ryszka-Komarnicka

(University of Warsaw)

The Book of Judith was one of the most frequently explored biblical plots in Italian oratorios of the Baroque era. This was prompted by the dramaturgically compelling potential of this story and the abundance of possibilities for allegorical readings (e.g. Judith as typus Mariae or as typus ecclesiae, as a figure of the Church Militant against heresies and the menace of infidels). In some works, however, the fate of Holofernes seemed to be even more important than Judith’s victory. It was seen as a warning to all those who persist in sin. Sometimes this circle of sinners was narrowed down to the secular rulers. The defeat of Holofernes was thus a lesson for all those who, in their pride, elevated themselves above the divine laws. Symptomatically, such a message of political overtone, articulated with greater or lesser openness, can be found mainly in a certain group of oratorios performed in Rome, beginning with Alberici’s La Giuditta, from which the words quoted in the title come (it was to be presented there in 1675) through Gasparini’s Iudith de Holoferne triumphans (1689) to several works performed in the first decade of the 18th century, during the War of the Spanish Succession. Thus, the more utopian were the dreams of successive Popes about their spiritual, moral authority to which the rulers of the Christian world should submit, the more willingly the message about the vanitas of their temporal powers resounded in Roman oratorios based on the Book of Judith.

Anna Ryszka-Komarnicka, Assistant Professor at the Institute of Musicology (University of Warsaw). Her research interests focus on Italian music of the 17th-18th centuries (opera and oratorio: author of Book of Judith in Italian Oratorios of the Baroque Era, Warsaw 2017). Recently a member of the Polish-German team running the project PASTICCIO. Ways of Arranging Attractive Operas and from 2020 a member of the research group working on the Lexicon of Poland’s Musicians of the Eighteenth Century.


La nuda vita nel “genere” dell’opera seria: personaggi di donne castigate dall’antica Roma (Placidia, Camilla, Berenice e Ottavia) nei repertori paralleli della Tilla e della Bordoni

Brad Carlton Sisk

(Norwegian University of Science and Technology)

Il repertorio di Fausta Bordoni, la più nota prima donna a livello internazionale del primo Settecento, comprendeva quattro personaggi romani precedentemente interpretati da Maria Domenica Pini detta “la Tilla”. Quest’ultima cantò in molte opere al fianco del maestro di canto della stessa Bordoni, Michelangelo Gasparini, e fu lodata da Luigi Riccoboni per le sue doti istrioniche. La predilezione di queste cantanti per personaggi esiliati, condannati, schiavizzati e/o ricattati dai sovrani romani è evidenza di una scelta consapevole di loci topici drammaturgici capaci di esaltare specifiche doti che accumunano le due star. La questione si ricollega anche al fatto che l’ordine legislativo per i teatri romani del Barocco aveva “messo al bando” tutte le performer femminili. 

Il topos della donna vulnerabile castigata dall’onnipotente impero romano sfrutta il pathos della figura dell’homo sacer prevista dal diritto antico-romano. Attraverso un’analisi dei quattro personaggi (Placidia, Camilla, Berenice e Ottavia) che ripercorrono nelle carriere parallele della Tilla e della Bordoni, sorgono questioni di “genere” che ci consentono di sviluppare ulteriormente la teoria di Giorgio Agamben sulla “nuda vita” dell’homo sacer (recentemente riformulato in chiave femminile come “mulier sacra” da Andrew Asibong). 

Brad Carlton Sisk 

svolge un PhD di ricerca presso l’università NTNU sulla drammaturgia musicale come mediazione tra le doti performative degli interpreti, le convenzioni di genere e le esigenze del potere politico-economico. Ha tenuto conferenze presso la Freie Universität (Berlino), il convegno internazionale di studi su Cesti (Arezzo), il 19° congresso dell’International Musicological Society (Roma), e il convegno “Women, Opera and the Public Stage in Eighteenth-Century Venice” (Trondheim). 


Due impresari-coreografi a Roma nella stagione 1786:  Onorato Viganò e Domenico Ricciardi

Nika Tomasevic

(Università degli Studi di Teramo)

Per il carnevale del 1786 la gestione dei principali luoghi di spettacolo della capitale, il teatro Argentina e quello delle Dame (o Alibert), fu affidata a due noti maestri di ballo: a Onorato Viganò il primo; a Domenico Ricciardi il secondo. I due coreografi decisero di rappresentare nel corso del secondo dramma musicale della stagione (Ifigenia in Aulide all’Argentina e Armida al delle Dame) due balletti ispirati al dramma volterriano l’Orpheline de la Chine (1755). Ricciardi propose un serio «ballo eroico» dal titolo Giengiskan conquistatore della Cina; Viganò un ballo comico intitolato Il Re pastore, o sia Pulcinella Re in sogno, ispirato alla tradizione delle pulcinellate romane e intriso di riferimenti all’opera di Pietro Metastasio. 

I richiami letterari e i rimandi al contesto culturale romano, nonché la stessa ambientazione esotica dei due balli, conducono all’ipotesi che si trattasse di una strategia di programmazione fortemente influenzata dalle politiche di azione e reazione tra i proprietari e gli impresari dei teatri della capitale. Ipotesi avvalorata da due documenti d’archivio dell’anno precedente (un componimento denigratorio e un verbale dei Compadroni del teatro Alibert) che sottolineano una situazione fortemente conflittuale tra i due spazi teatrali.

Attraverso il confronto e lo studio dei documenti citati, l’intervento si pone l’obiettivo di mettere in luce i rapporti tra i maestri di ballo e il contesto culturale, politico e sociale romano. 

Nika Tomasevic 

è ricercatrice (RTDa) all’Università di Teramo. Ha svolto attività di ricerca per la Biblioteca Digitale della Musica e della Danza (Università Roma Tre) e per il progetto ForTe – Formazione in Teatro (Università di Teramo, Università Roma Tre, Fondazione Roma Tre Teatro Palladium). Ha pubblicato diversi saggi sulla storia del teatro e della danza. È autrice della monografia Tra pulcinellate e favole. Il ballo pantomimo a Roma al tramonto dello Stato pontificio (LIM, Lucca 2023).


I Concerti di Primavera della contessa Pecci-Blunt: un caso di mecenatismo musicale nella Roma degli anni Trenta

Tommaso Vigna

(Université libre de Bruxelles – FNRS)

Tra il 1934 e il 1936, la contessa Anna Laetitia Pecci-Blunt (1885-1971), detta Mimì, collezionista, mecenate e personalità di spicco della vita mondana romana e parigina, nipote di Papa Leone XIII e moglie del ricco banchiere newyorkese Cecil Blunt, promuove a Roma l’organizzazione dei Concerti di Primavera, una rassegna di musica antica e contemporanea ispirata all’attività della società concertistica La Sérénade di Parigi e che, in una manciata d’anni, accoglie nella capitale alcuni dei nomi più importanti del panorama musicale dell’epoca. Igor Stravinsky, Francis Poulenc, Darius Milhaud, Georges Auric, Paul Hindemith e Henri Sauguet sono solo alcuni dei compositori che animeranno i pomeriggi musicali romani con le loro musiche, diverse delle quali in prima esecuzione italiana. L’iniziativa, alla quale collaborano i compositori Mario Labroca, Vittorio Rieti e Leone Massimo, si inserisce in una più ampia programmazione culturale che vede la figura dalla contessa Pecci-Blunt, in quegli stessi anni fondatrice della Galleria della Cometa e promotrice delle conferenze artistico-letterarie I Sabati di Primavera, artefice di un prolifico asse artistico Roma-Parigi e protagonista del vitalismo culturale della Roma dell’anteguerra. 

Tommaso Vigna

dopo aver conseguito la laurea magistrale in Discipline della musica e del teatro (LM-45) presso l’Università di Bologna (2020), Tommaso Vigna è attualmente dottorando in Musicologia presso l’Université libre de Bruxelles e titolare di una borsa di ricerca Aspirant del Fonds de la recherche scientifique – FNRS con un progetto che indaga l’influenza delle filosofie indiane e del pensiero esoterico sulla produzione musicale e letteraria del compositore Giacinto Scelsi. 


Roma nello specchio di Lisbona – influenze e sodalizi settecenteschi

Iskrena Yordanova

(DS-CEMSP, CESEM Universidade Nova de Lisboa)

Giuseppina Raggi

(CES Universidade de Coimbra)

I legami politici e diplomatici tra Roma e Lisbona durante il Settecento mettono in luce dei sodalizi tra vari esponenti del mondo artistico sino agli inizi del secolo. La partecipazione della corona portoghese a sontuose rappresentazioni, ingaggi di musicisti, cantanti e maestranze della scena romana, così come la sponsorizzazione dell’Accademia d’Arcadia, dimostrano un interesse ed investimento cospicuo verso la realtà romana. Tramite l’operato di diversi artisti, soprattutto musicisti e architetti, si possono osservare degli esempi di collaborazione che evidenziano l’esportazione di modelli culturali della città eterna verso le terre lusitane. Personaggi di spicco cambiarono il volto architettonico e la scena culturale di Lisbona: Domenico Scarlatti, Filippo Juvarra, Antonio Canevari. L’obiettivo del contributo è analizzare alcuni esempi concreti che coprono l’intero arco del Settecento. L’ambiente musicale e teatrale romano costituì un’importante opportunità di partenza per gli architetti scenografi di lavorare in Portogallo. Questo meccanismo vale per Scarlatti e Juvarra, ma anche per Canevari, il cui contatto con il mondo dell’Arcadia romana permetterà di occuparsi a Lisbona di scenografia, architettura effimera, così come di progetti come il palazzo estivo del cardinale patriarca. Infine, il caso poco noto ma interessante di Antinori, che, occupandosi di teatri a Lisbona, costruì la sua successiva carriera a Roma, mantenendo il legame con l’ambiente diplomatico portoghese a Roma. 

Iskrena Yordanova 

Si è addottorata in musicologia all’Università di Évora (Portogallo). Ha curato edizioni critiche di composizioni di Avondano, Perez, Jommelli, D. Scarlatti edite da IISM (Roma). È direttore scientifico di Divino Sospiro-CEMSP e ricercatore integrato al CESEM – Universidade Nova de Lisboa. Ha organizzato undici convegni al Palazzo Nazionale di Queluz su tematiche interdisciplinari sulla musica e il teatro del Settecento. È editore responsabile della collana Cadernos de Queluz della Hollitzer (Vienna). 

Giuseppina Raggi

è dottore di ricerca in Storia dell’Arte presso le Università di Lisbona e Bologna, ricercatrice integrata presso il CES-UC Centro de Estudos Sociais – Universidade de Coimbra. Specializzata nella pittura in quadratura, si dedica allo studio delle dinamiche artistiche e architettoniche del regno di Giovanni V, con un’attenzione particolare al ruolo delle donne nei campi dell’opera e del teatro in Portogallo. Ha pubblicato il libro O projeto de D. João V. Lisboa ocidental, Mafra e o urbanismo cenográfico de Filippo Juvarra.